La legnaia

di Alex Stecchezzini

Tutto è iniziato per gioco grazie a mio nonno William. Lui di arrampicata non sapeva proprio nulla, era un mondo che non gli apparteneva. La montagna invece era un ricordo duro e doloroso, la seconda guerra mondiale lo aveva portato a frequentare i crinali per difendersi e nascondersi.

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Alex Stecchezzini

Fu lui a farmi indossare per la prima volta l’imbraco; alla festa del paese qualcuno aveva attrezzato un muro artificiale e così, un po’ per prova e un po’ per sfida, provai a salire. In breve portai al nonno tutti i premi che erano attaccati alle prese. Sorpreso dalla soddisfazione che mi si leggeva sul volto, una sera, senza dire nulla a nessuno, mi accompagnò in una palestra a Reggio: iniziò per me una nuova vita. Da allora non ho più smesso di arrampicare e frequentare le palestre. Ogni momento libero lo dedicavo all’arrampicata, conobbi Milo Colli, un ragazzo piccolino e ricciolo che spesso vestiva da metallaro. Lui e Corrado Puglisi non fecero altro che decuplicare la passione per l’arrampicata che stava sviluppandosi dentro di me. Una sera Milo varcò l’uscio di casa per conoscere i miei genitori; chiese loro il permesso di portarmi alla Pietra di Bismantova. Dopo le titubanze iniziali, mia madre mi concesse la possibilità di frequentare quelle pareti di arenaria a sabati alterni. L’accordo in breve saltò e mi ritrovai ad arrampicare alla Pietra tutti i weekend. Milo possedeva la macchina ed io altro non aspettavo che di vederlo arrivare sotto casa con corda e rinvii.
In quel tempo chi arrampicava indossava dei pantaloni in Lycra ed io avevo da poco comprato le mie prime ballerine. Erano i primi anni ’90 e scalare alla Pietra frequentando i ragazzi con cui arrampicavo, mi diede moltissimo. Furono loro a infuocare ulteriormente la passione per il mondo verticale. Conobbi Umberto Fontanesi, un personaggio anomalo. Mi vide arrampicare e mi trasformò nel suo figlio adottivo; iniziai a partecipare a delle gare e Umberto mi seguiva nella preparazione atletica accompagnandomi spesso in giro per l’Italia. Era sempre in prima fila a tifare per me. Ancora oggi non smetto di ringraziarlo e seppure non abbia mai indossato un paio di scarpette e mosso un passo in verticale, è stato certamente uno dei protagonisti di queste pareti: ha chiodato e attrezzato moltissimi itinerari e sentieri, disgaggiando e pulendo dalle sterpaglie molti settori che oggi sono considerati dei veri gioielli della Pietra.
Scrittore e creativo a tutti gli effetti, ha realizzato con me le prime guide d’arrampicata sportiva sulla Pietra mettendo a disposizione tutto il suo materiale e i suoi disegni. Ancora oggi non so come sarei potuto riuscirci senza il suo aiuto.
Fu Andrea Forlini a insegnarmi ad arrampicare godendo del gesto e tralasciando le difficoltà che i singoli tiri offrivano. M’insegno a esorcizzare la presenza del vuoto e in breve mi ritrovai a saltare con un paracadute dai prati sommitali della Pietra.
Con lui, Andrea Buffagni (il Buffo), Fabrizio Pollastri (il Tirola) e tanti altri non meno importanti ho trascorso 15 anni arrampicando e dormendo sotto la legnaia dei frati. Con noi c’era sempre una radiolina settata su Radio K Rock che rimaneva accesa tutta notte. Ascoltare canzoni mentre cercavamo di chiudere gli occhi guardando le stelle era un modo tutto nostro per condividere le nostre esperienze, talvolta rimanendo in silenzio. Oggi ricordo con un sorriso quelle notti e le prime ore del mattino quando Padre Giacomo, un po’ dimenticandosi dell’abito che indossava, ci svegliava con una scopa. Noi correvamo al rifugio, a quei tempi gestito da Mauro Croci (il mitico Kreuz), per fare colazione e qualche esercizio di stretching.

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Mailee Stecchezzini

Mi ero comprato a fatica un motorino. Partivo da Reggio tutti i venerdì sera con un sacco a pelo, una corda e un piccolo zaino che avevo ricevuto in regalo da mia madre. Prima d’imboccare la strada per la Pietra cercavo nei supermarket degli scatoloni per portarli alla legnaia e costruire così il mio piccolo albergo a cinque stelle. Io ero sempre il primo ad arrivare, poi con la complicità della notte arrivavano anche gli altri. Prima Andrea, poi il Buffo e infine Tirola.
I primi passi verticali li ho fatti all’età di 13 anni; ora ne ho 38 e sono ancora tremendamente innamorato di questo enorme sasso. Ogni volta mi lascia soddisfazione e felicità. E’ il mio respiro. La Pietra è il punto d’unione tra la terra e il cielo, racchiude mille segreti indescrivibili e incomprensibili per chi non si è mai legato a una corda.
Un monolite di arenaria compatta che si staglia nelle rotondità dell’appennino e che come questa sera, mentre scrivo a fatica queste righe, è cullato dall’immensa luna piena che lo trasforma in un cristallo blu.
Ora vivo un nuovo capitolo della mia vita: sto convergendo i miei sentimenti e le mie esperienze, in piccole briciole di vita per la mia bimba. Il suo nome è Mailee “Malì” Stecchezzini, è nata all’ombra di una colata di calcare thailandese cullata da fiori di gelsomino. Il suo nome le è stato donato da Françoise e Chantal Guillot: due pionieri del Verdon. Mailee arrampica solo quando ne ha voglia, e nel periodo estivo le piace moltissimo addormentarsi con me sotto le stelle alla base della Pietra avvolta da un sacco a pelo. Adora moltissimo conoscere le storie che circondano questi monotiri dai nomi più fantasiosi e non ha paura del buio. Talvolta accendiamo un fuoco al Pilone Giallo e iniziamo a dialogare con l’infinito, così per gioco. Poi il sonno ci avvolge e anch’io torno bambino.

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