Quattro chiacchiere con Renato Casarotto

dalla Rivista della Montagna

Di rientro dall’eccezionale salita solitaria al Broad Peak Nord, Renato Casarotto è di passaggio a Torino. L’occasione è interessante per buttar lì quattro chiacchiere, ma anche per fare il punto sul grande alpinismo himalayano.

Renato, ci sei riuscito, è stata una magnifica solitaria. Del resto non ci sembri nuovo ad imprese del genere, anche se questa supera tutte le altre per la quota a cui si è svolta. Cos’è che ti sorregge in esperienze del genere, dove la solitudine più assoluta è valore preminente?
16 anni di alpinismo mi hanno portato a conoscere abbastanza bene la mia personalità: ho la testa dura, e quando mi frefiggo un obiettivo che mi sta a cuore, vado sempre dritto allo scopo. Magari tentenno nella scelta; poi, soprattutto se il percorso mi impegna al limite delle mie possibilità (ed è il caso di questa salita), riesco a vivere un’esperienza totale, estraniandomi completamente dal resto.

Questa non è certo la tua prima esperienza hymalayana…
No, ma credo che quella dell’estate scorsa sia finalmente la strada giusta, il cammino mi permette di esprimere meglio ciò che ho in testa. Le spedizioni in un certo senso costituiscono oggi un’involuzione; mi riferisco naturalmente a quelle pesanti. E’ questione di numero, non c’è niente da fare: se si è in tanti, inevitabilmente viene a modificarsi il rapporto con la montagna. E anche con la gente.

Gli sherpa?
Certo. Quando passano grosse spedizioni, rimangono i segni. E non sono certo positivi. Molto spesso si scarica spazzatura, anche in senso culturale.
Sugli ottomila più ambiti, in certi anni c’è la coda. Buttaci lì una cattiveria…
Vi dico solo che per sapere come vanno le cose su certe vie, bisognerebbe parlare con gli sherpa. Salterebbero fuori pagine inedite di storia alpinistica.

Ma gli sherpa partecipano in qualche modo all’impresa? Voglio dire: se il risultato è positivo, provano la tua stessa soddisfazione, o sentono la cosa come estranea, come una maniera più proficua per guadagnarsi da vivere?
Da una decina d’anni, direi che le cose in Nepal sono un po’ cambiate. Il fenomeno di trasformazione è invece più lento in Pakistan.

Credi che assisteremo alla nascita di una classe di guide locali, che si ripeta quel fenomeno che cent’anni fa si è sviluppato in certe vallate alpine?
Per ora no, forse in futuro.
Quando parlo di cambiamento di mentalità dei locali rispetto all’alpinismo, devi prendere le cose con molta cautela. Si tratta insomma di fenomeni in embrione.

La grossa salita di quest’anno ti porta senz’altro ai vertici dell’alpinismo himalayano. Ci pare di aver sentito di un certo progetto…
Beh, qualcosa in mente ce l’ho, ma non voglio anticipare nulla; certamente è un’idea ambiziosa, comunque ci spero. Per ora mi preparo.

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