La via meno battuta

Matteo Della Bordella
LA VIA MENO BATTUTA
Rizzoli, 2019
464 pp., 14×21.5 cm – 19.00€

Il paradosso dell’alpinismo è proprio quello che da un lato
devi essere audace se vuoi fare cose grandi, dall’altro
invece devi capire quando saper rinunciare perché mentre
salire in cima a una montagna è opzionale, ridiscendere a
valle è obbligatorio e doveroso. Il confine tra coraggio e
rinuncia è un confine sottile, così come quello tra incertezza
e rischio. Il vero coraggio è quello di saper rinunciare o di
osare un po’ di più? Ci sono fior di alpinisti che hanno dato
le loro risposte a questa domanda.
Io risponderei semplicemente: Dipende!

 

Diverse riviste e siti internet hanno dato spazio a questa pubblicazione. Tanto si è già scritto e la possibilità di apparire ripetitivi è un rischio che mi appresto a correre mentre, in questa domenica mattina piuttosto uggiosa, provo a battere qualche parola su una tastiera ormai stanca.

“La via meno battuta” è un libro molto bello, che ho letto con andatura incalzante. Ogni capitolo è un antipasto al successivo. Per chi, come me, legge molte pubblicazioni di montagna si renderà presto conto che difficilmente in questo settore approdano in libreria opere di così alto livello. Un libro che, negli anni, qualcuno avrà voglia di rileggere. Ho trovato diverse analogie con “Montagna vissuta – Tempo per respirare” di Reinhard Karl (Dall’Oglio, 1982) e ormai considerato un libro simbolo di difficile reperibilità anche nel mercato antiquario di montagna.

74218938_2460611667547533_4240701226028630016_oI 16 capitoli, alcuni abbastanza lunghi, raccontano lo svolgersi degli eventi in ordine cronologico. Si parte dall’approccio alla montagna con le prime arrampicate ai Corni di Canzo con il padre Fabio e la soddisfazione di ripetere con lui itinerari che sono un capitolo importante nella storia dell’alpinismo come la via “Attraverso il Pesce” in Marmolada o il diedro “Philipp/Flamm” in Civetta. Buona parte del libro racconta le spedizioni in giro per il mondo dando ampio (e meritato) spazio alle spedizioni che l’hanno portato in vetta alla Torre Egger. La descrizione dei giorni di attesa e di speranza si miscela perfettamente con la narrazione delle lunghezze di corda e dei bivacchi trascorsi in parete.

Chi ha perso un amico o ancora peggio il padre o un fratello durante una gita o una scalata in montagna ha certamente vissuto attimi di totale smarrimento. Momenti in cui non si riesce a dare delle risposte alle mille domande che vorticosamente prendono piede. Anche per Matteo è stato così quando ha perso, in seguito a un’arrampicata in Antimedale, il padre. Questo libro aiuta ad alleviare il dolore di chi ha alle spalle perdite simili:

“Mi interrogai a lungo sul senso di continuare a scalare, visto che proprio lo scalare mi aveva dato un dolore e un dispiacere così grande. Non era forse meglio vivere in modo diverso, cancellare la montagna dalla mia vita e dedicarmi a qualcos’altro che non portasse con sé il pericolo intrinsecamente legato all’alpinismo?”

 Della Bordella si è messo a nudo. Ha narrato con coraggio alcuni episodi senza nascondere nulla al lettore e, con altrettanta onestà, racconta di come in alcuni casi si vergogni profondamente delle scelte fatte.

Nella nostra vita, anche quella di tutti i giorni, tutti noi abbiamo fatto delle scelte di cui non andiamo particolarmente fieri. Siamo disposti a raccontarle in un libro che vende miglia di copie? La maggior parte dei lettori saranno solamente in grado di dare una lettura oggettiva e quindi fredda dei nostri comportamenti.

spedizione-groenlandia-kayak-matteo-della-bordella-427553.610x431Penso al coraggio di raccontare il rientro a El Chaltén dopo aver scalato la Aguja Innominata. Matteo Bernasconi, compagno di cordata, è sfinito e a poca distanza dal paese preferisce fermarsi e bivaccare. Della Bordella, conscio che i pericoli sono terminati e che si trovano su di un comodo sentiero molto percorso dai trekker decide di abbandonarlo a favore delle comodità di un buon pasto e di una doccia calda. Bernasconi il giorno dopo, tranquillamente, raggiunge il paese. L’episodio non è importante dal punto di vista tecnico e alpinistico ma è un’accoltellata al cuore per chi crede nel valore di una cordata e dei membri che la compongono.

 “Fu la prima volta che mi resi conto di essere stato egoista e me ne vergognai”.

 “Fu quell’episodio a farmi rendere conto di una grande contraddizione di fondo mia e penso più in generale di tanti alpinisti, dove, da un lato, in mezzo alle montagne e alle difficoltà, facciamo spesso fronte unito e compatto, ci leghiamo in cordata e affidiamo letteralmente la nostra vita al compagno, condividendo paure, fatiche e gioie come se fossimo una persona sola, ma poi, quando torniamo alla normalità di tutti i giorni e alla nostra vita, siamo spesso degli egoisti che mettono se stessi davanti a tutto il resto, senza preoccuparsi delle conseguenze. Se è innegabilmente vero che qualsiasi rinuncia in alpinismo non è mai sbagliata, non deve provocare rimorsi e soprattutto non è da considerarsi come una sconfitta, ma solo come una nuova opportunità per riprovare, è anche vero che l’alpinista che va avanti a rinunce non otterrà mai il risultato a cui ambisce, non soddisferà mai sé stesso e non potrà mai evolvere e guardare più lontano. Perciò una rinuncia è anche per lo meno una sconfitta parziale, dettata da numerosi fattori, ma che in fin dei conti possono essere tutti ricondotti alla paura di non farcela in relazione a un evento imprevisto, come le condizioni della montagna o del tempo, oppure alla mancanza di fiducia nelle proprie capacità”.

Nel libro la narrazione scorre continua e appassionante, approfondendo fatti, compagni di cordata, spedizioni, ambienti e persino le esperienze all’estero legate alla professione di ingegnere. Un grande viaggio fatto di scelte controcorrenti che sapranno anche commuovere. Una rarità.
(M.B.)

la via

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