Una grande impresa di Renato Casarotto

da Lo Scarpone  n. 9/16 maggio 1985

Renato Casarotto, dopo alcuni tentativi ha ripetuto in ascensione invernale e solitaria la via Gervasutti/Gagliardone sulla parete Est delle Grandes Jorasses. La parete, che domina il ghiacciaio di Freboudzie è alta 750 m e vista a distanza si presenta, anche osservata con un potente binocolo, come un unico, gigantesco lastrone rosso di granito compatto. La via, aperta il 16/17 agosto del 1942, rappresenta il capolavoro di Gervasutti ed è stata poco ripetuta, se confrontata con le altre grandi classiche. Superare in pieno inverno la zona delle grandi placche rosse era stato ritenuto impossibile. Anche solo raggiungere il Col des Hirondelles d’inverno e… ridiscendere rappresenta ancor oggi un’impresa notevole.

Come ti è venuto in mente di fare in prima solitaria invernale la via Gervasutti/Gagliardone alla Est delle Jorasses?
Questa via è stata ripetuta solo poche volte d’estate e io penso che la via originale di Gervasutti non sia stata mai ripetuta integralmente. Due uomini nel 1942 con l’attrezzatura del tempo percorrere quell’itinerario in sedici ore effettive di arrampicata, con quei chiodi dei trenta usati da Gervasutti, ne ho ritrovati sei, quei moschettoni pesanti e di scarsa affidabilità, ricordiamoci che erano di ferro, con quegli scarponi pesanti e scomodi, con le corde di canapa, pesanti e rigide… ci dimentichiamo troppo spesso di questi dati e le ripetizioni successive hanno richiesto ancor più tempo; questo vuol dire che veramente Gervasutti aveva una marcia in più e un’intuizione del tutto eccezionale. Sono sicuro di aver studiato bene la relazione di Gervasutti che per la verità non è molto chiara, ma l’ho seguita e sono sicuro di aver ripetuto la sua via. Volevo realizzare una prima e salire quella via d’inverno è stata davvero una grande avventura. Mi stuzzicava l’idea di ripetere la via più difficile e bella di Gervasutti e per di più d’inverno.

casarotto_1

Solitaria perché?
Perché, perché… ci sono tanti perché. Qualcuno ha detto che è più difficile andare all’attacco che fare la via e hanno pensato anche di farsi portare all’attacco con l’elicottero. Certo d’inverno è molto dura, quando uno arriva al Col des Hirondelles è già abbastanza spompato. lo ci sono andato sei volte prima di riuscire, ma un inverno come questo è stato eccezionale; io volevo riuscire per avere una nuova esperienza, per inventare altre imprese. C’è sempre un legame tra una salita e l’altra, sono tappe tutte importanti e potrebbe anche essere un arrivo, uno può anche dire «dopo questo chiudo». Tutte le volte che ho provato speravo che il tempo non si mettesse tanto male da farmi rinunciare, invece ho sempre dovuto usare il buon senso e rimandare, anche ascoltando le previsioni del tempo volevo sperare a tutti i costi, ma poi la realtà dei fatti mi consigliava di aspettare. Cinque tentativi prima di arrivare alla partenza buona.

Intanto Goretta come era sistemata?
Quando siamo a Courmayeur siamo ospiti di Emilia Cosson la mamma di Renzino che ci tratta come fossimo suoi figli. Quando vado al Bianco, anche due anni fa per la mia cavalcata, ci presta la sua baita in Val Veny, ma non mi serviva questa volta, avrei dovuto trovare per Goretta un appoggio in val Ferret. Cesare Ollie altra cara persona che devo ricordare con tanta simpatia ci ha messo a disposizione una baita a Lavachey in fondo alla val Ferret, piccolissima, ma ci è stata utilissima: Goretta era al sicuro e potevamo avere i nostri soliti collegamenti radio che fanno parte della nostra vita un po’ strana. Sono partito con un sacco di oltre trenta chili, l’attrezzatura alpinistica e i viveri. Ogni volta va e torna con tutto sulle spalle, ma non mi sono mai arrabbiato, accettavo con filosofia. Finalmente mi è andata bene! Il giorno che ho cominciato la salita, sabato 9 marzo, lungo un canale di più di duecento metri, con tempo incerto, vento e scariche di neve ho capito che era la volta buona.
Dopo tre giorni raggiungevo il punto massimo raggiunto precedentemente, mi sveglio in uno strano silenzio… trenta centimetri di neve fresca sulla tenda, cosa fare?
Non decido subito di scendere e verso le dieci il tempo cambia; prima di sera riesco ad attrezzare per la lunghezza di due corde da 50 metri.
Placche, diedri, fessure di difficoltà incredibile, alla sera scendo al mio bivacco. La mattina dopo risalgo il tratto attrezzato, riesco a imbragare la tendina contro incredibili raffiche di vento e preparo un nuovo bivacco.
Seguono placche e paretine in prossimità della cresta di Rocheford; alla sera ancora nevica. Al mattino la montagna è irriconoscibile, se non fossi già praticamente fuori dalle maggiori difficoltà avrei dovuto tornare, scendere.
Ho raggiunto la cima venerdì alle 16 e ho poi bivaccato nel canalone Wymper.
Anche la discesa è stata, complicata; sono riuscito a trovare un posto abbastanza riparato da uno sperone roccioso. Alla mattina una nevicata imponente, non vedevo niente, avevo paura dei crepacci nascosti dalla neve fresca. Alle 10 già cadevano le slavine.
Ho patito tutto, un vento da Patagonia, un freddo a Alaska, mi sono congelato una guancia, si erano congelate anche le bombolette del gas, le tenevo in mezzo alle gambe per cercare di farle funzionare per poter bere, avevo perso la sensibilità delle mani, ho sopportato sberle di vento che mi spostavano, esperienze incredibili da vivere sul Bianco nel mese di marzo.
C’è l’ho fatta, alla fine ci sono riuscito ma me la sono guadagnata ora per ora, metro per metro.
Renato

casarotto_2

I commenti
Approfittando della presenza a Trento del fior fiore dell’alpinismo classico e moderno abbiamo registrato qualche autorevole commento.
Dice Renato Chabod, past President CAI e CAAI, academico e grande conoscitore e scrittore del Monte Bianco. “…(censura della redazione) La est della Jorasses è senza dubbio la più difficile via del Bianco, basta vedere come siano pochissime le ripetizioni anche estive.
Lo stesso Gervasutti l’ha tentata più volte prima di riuscire; un tentativo con Gugliermina, e poi con Gagliardone la vittoria.
Questa di Casarotto è senza dubbio un’impresa eccezionale per la difficoltà obiettiva della parete, per la lunghezza e pericolosità del percorso per arrivare all’attacco e, ricordiamolo, Casarotto l’ha salita in solitaria e invernale!!!”.
Dice Andrea Mellano: Accademico e ancora in attività di servizio. Questa di Renato Casarotto è un’impresa classica. Una grande impresa che va rispettata in tutto il suo valore. Ha fatto bene a farla perché era lì per un grande alpinista, è arrivato lui con la sua fantasia e la sua capacità. Ma il commento migliore ce lo da Gervasutti nel suo libro «Scalate nelle Alpi» edizione «Il Verdone» Torino, novembre 1945.
…Ma quando superata l’oasi verde di Planpinceux proseguivo oltre la Vachey, a mezza strada tra questa località e St. Juan il mio sguardo veniva sempre rapidamente attratto da una visione nuova, che appariva all’improvviso sul fondo del bacino del Frebuodzie…
La prima volta era stata soltanto ammirazione per il nuovo aspetto con cui si presentavano le Grandes Jorasses, montagna sovrana per i fasti dell’alpinismo, poi la grande parete triangolare che si innalza al di sopra di un ghiacciaio stranamente sconvolto e solcato da enormi crepacce, incominciò a interessare di per se stessa. Si potrà un giorno salire? Ad un primo esame sommario, la risposta veniva negativa. Vista a distanza anche osservata con un potente binocolo, la parete dalla metà in su si presentava come un unico gigantesco lastrone di granito compatto. Eppure qualche ruga appariva qua e là, qualche fessura acquistava rilievo con particolari luci, qualche chiazza di neve rimaneva sulla parete dopo una nevicata. Ma intanto altre grosse battaglie urgevano sui diversi campi d’azione dell’alpinismo, e la parete est delle Jorasses restava per il momento un lontano problematico desiderio, una specie di agognato frutto proibito che molti desideravano, ma il cui tentativo di possesso tutti rimandavano, ben sapendo che l’aspetto poco invitante sarebbe stato ancora per lungo tempo sufficiente difesa.

Parliamo da donna a donna
La tua casa come la consideri?

La considero come una casa, il mio rifugio anche se ci posso stare per pochissimo tempo; ci ritorno solo per lavare la roba, riordinarla, togliere un po’ di polvere e via di nuovo. Un po’ come una stella fissa a cui pensare quando sono lontana; molte volte quando sono tanto coinvolta negli avvenimenti che vivo al presente mi dimentico perfino che ci sia. Mi è capitato, non adesso al Bianco, forse anche perché sapevo di essere vicina, mi è capitato di non credere più di avere una casa, se qualcuno si fosse presentato al campobase dicendomi «guarda che la tua casa è bruciata, non c’è più» avrei risposto «Ah perché io avevo una casa? Dove? Sono così totalmente impegnata in quello che sto facendo, vivo così intensamente quelle giornate che non ho più riserve per altri pensieri. So che ci sono i miei genitori, i suoceri che amo come genitori miei, ma tutto è così lontano, quasi nascosto dalla nebbia… Forse anche perché quando lui è via io so a cosa va incontro, io so i pericoli che lo minacciano e in quei giorni sono assorbita completamente nel pensiero della sua scalata. Non è più come nei primi tempi, allora non sapevo veramente niente della sua attività e quando tornava stanco dalla montagna gli chiedevo «Ma perché? Cosa hai fatto?» adesso sono molto cosciente e questo mi impedisce di pensare ad altro. Lui supera le difficoltà con le sue forze, io le vivo con il mio pensiero passo per passo. È una cosa che mi prende totalmente, ma non posso fare diversamente, altrimenti non sarei nemmeno lì. Tornando al discorso della casa: qualche volta mi piace ricordarla, qualche volta la penso come un lumino lontano un po’ nascosto dalla nebbia, altre volte viene cancellata, dalla mia mente, come una cosa che esiste, ma non so dove. Certo desidero restarci un poco di più con un poco più di calma. E difficile cercare di spiegare queste cose, sono sentimenti e sensazioni un po’ complicate da partecipare agli altri. Quando sono al campo base, non importa dove, io sono totalmente li, quella è la mia casa; solo quando si pensa al rientro comincio a ricordarmi cosa è la mia casa e a desiderare di tornarci.
Goretta

Lascia un commento